giovedì 31 marzo 2011

Cosa sono i laogai???



Alain Besançon ha definito appropriatamente il ventesimo secolo come il “secolo dei campi di concentramento”. Questo fenomeno di restrinzione e controllo di quegli elementi considerati “indesiderabili” ma legalmente cittadini innocenti si è esteso in tutto il globo. Include le esperienze dei campi inglesi in sud Africa, utilizzati per internare le donne e i bambini boeri; i campi giapponesi per imprigionare i nemici civili durante la seconda guerra mondiale; e i campi di concentramento sotto i regimi totalitari di Stalin, Hitler, e Pol Pot, solo per nominarne alcuni. I campi di concentramento internano i prigionieri politici o altri definiti come indesiderabili e lo fanno anche al di fuori dei normali processi del sistema legale. La Cina è l’unica potenza mondiale ad avere intrapreso nel ventunesimo secolo un così florido sistema concentrazionario, che è comunemente conosciuto come “il sistema laogai” [劳动改造制度 laodong gaizao zhidu] sin dal maggio del 1951. Il termine laogaidui venne coniato dal Partito Comunista Cinese [中国共产党 Zhongguo Gongchandang] dopo la presa del potere nel 1949. Letteralmente l’espressione significa “squadra di riforma attraverso il lavoro”. Durante la Rivoluzione Culturale aveva un’accezione più ampia, indicando anche “stalla”, “scuole dei quadri del 7 maggio” e “basi per detenuti” fondate da tutti i livelli delle organizzazioni del partito, delle Guardie Rosse e dei Ribelli. Oggi la parola laogaidui viene di norma utilizzata per indicare i campi di riforma attraverso il lavoro controllati da sei organi, sotto il patronato del ministero della Pubblica Sicurezza e della Magistratura. Lo studioso Jean-Luc Domenach faceva risalire le origini del sistema laogaidui addirittura all’epoca pre-rivoluzionaria, quando la Repubblica Sovietica del Jiangxi aveva istituito nel 1932 stabilimenti per la correzione attraverso il lavoro, previsti peraltro anche dalla legislazione del Guomindang, e ricordava che nel 1939 nelle zone sovietiche i condannati a lunghe pene detentive venivano assegnati a centri di produzione che già coniugavano il lavoro forzato con l’obiettivo della rieducazione. Lo studioso francese fissava il punto di svolta al 1948 quando il Partito Comunista Cinese acquistò ormai un vantaggio decisivo nella guerra civile, aveva infatti cessato di liberare, come era accaduto sino ad allora per ragioni logistiche e di propaganda, i prigionieri del Guomindang, che furono inoltre i primi ad essere avviati ai nuovi campi di riforma attraverso il lavoro. Insomma i laogai erano in funzione già prima di essere istituiti ufficialmente alla metà degli anni Cinquanta, e cominciarono ad affollarsi nel 1951, all’epoca della riforma agraria, quando a migliaia furono internati: proprietari terrieri, contadini ricchi, piccoli notabili di campagna colpiti dalla ridistribuzione delle terre. Nello stesso periodo, accanto ai detenuti politici, furono reclusi nei campi di lavoro moltissimi criminali comuni arrestati in seguito alle campagne di repressione del banditismo, della prostituzione, del gioco d’azzardo, del traffico d’oppio (1949-1952). Quanto alle cifre, Domenach stimava un picco di circa due milioni e mezzo di detenuti nel 1957, a seguito dell’afflusso dei controrivoluzionari arrestati durante la Campagna contro la destra, e calcolava un nuovo punto di massimo della popolazione concentrazionaria durante il decennio della Rivoluzione Culturale (1966-1976), quando complessivamente i laogai assorbirono due milioni di nuovi lavoratori forzati. Secondo la ricostruzione di Domenach, questo era stato l’ultimo significativo internamento di detenuti prima delle ondate di liberazioni e riabilitazioni del 1978 e del 1982, agli inizi dell’era di Deng Xiaoping. L’analisi di Domenach coglieva i caratteri essenziali del sistema del laogai, analizzando anche l’evoluzione delle sue funzioni nel corso del tempo, un’evoluzione che poteva essere riscontrata nella composizione della popolazione dei campi: circa l’80 % dei detenuti nella metà degli anni Cinquanta erano detenuti politici (ma va tenuto conto che all’epoca molti reati ordinari potevano essere trattati come crimini controrivoluzionari, e quindi politici); nel decennio successivo invece vi era un’equa distribuzione fra detenuti politici e detenuti comuni, mentre nei primi anni Settanta vi era una netta prevalenza di criminali comuni, segno che a quel punto gli obiettivi di controllo e repressione sociale avevano preso il sopravvento sulle motivazioni strettamente ideologiche. Grazie al lavoro di Domenach, l’archipel oubliè aveva finalmente trovato una sua dimensione storica, analizzata come parte integrante dell’evoluzione del regime comunista cinese, ma fu l’uscita negli Stati Uniti del libro di Harry Hongda Wu, a mettere in luce la contemporaneità e la continuità del fenomeno concentrazionario in epoca post-maoista. Harry Wu è un reduce dal laogai, ma il suo libro non è una testimonianza, è piuttosto, o vuole essere, una indagine a tutto campo sulla riforma attraverso il lavoro. Il merito principale di Harry Wu è infatti quello di aver chiarito in maniera definitiva l’esatta articolazione del sistema che genericamente va sotto il nome di laogai. I campi di lavoro correzionale, i laogaidui, in vigore nella Repubblica popolare cinese sono una realtà complessa, strutturata su tre livelli, a loro volta caratterizzati da gradi diversi di controllo e repressione dei detenuti: vi sono campi di riforma attraverso il lavoro (劳改 laogai propriamente detto), campi di rieducazione attraverso il lavoro (劳教 laojiao) e i campi di destinazione professionale obbligatoria (就业 jiuye). La loro organizzazione è dettata da linee guida rimaste sostanzialmente invariate nel corso dei decenni e formalmente valide ancora oggi, nonostante le modificazioni introdotte dopo l’avvento di Deng Xiaoping.
I laogai sono le strutture dove le condizioni di detenzione sono più dure. Adottando la semplificazione dei paragoni storici, si può dire che i criteri militari di organizzazione, la coercizione al lavoro, gli infimi standard di vita, le vessazioni materiali e psicologiche subite dai prigionieri, le procedure di “riforma del pensiero” rendono l’esperienza cinese assimilabile, sotto molti punti di vista, alla normalità della dimensione concentrazionaria nel Ventesimo secolo. A parte tali caratteristiche, è tuttavia l’accento posto sul ruolo economico delle imprese fondate sul lavoro forzato a definire compiutamente il sistema cinese,
quando si consideri che la produzione derivante dai campi di riforma (就业生产 laogai shengchan) è stata sin dall’inizio inclusa nella pianificazione economica nazionale. A questo proposito sono emblematiche le disposizioni contenute nell’art. 35 del “Regolamento” del 1954, laddove si stabilisce che “secondo la situazione della produzione di ogni distretto e le esigenze di sviluppo nazionale, devono essere redatti dei piani unificati per gestire il trasferimento dei criminali e la distribuzione della forza-lavoro6”. Per altro verso, è sufficiente riflettere sul fatto che le rendite delle “imprese speciali di Stato” (fabbriche, fattorie o miniere) coprono per intero i costi di gestione del sistema di riforma per apprezzarne
l’incidenza sull’economia cinese.
Introdotto nel 1957, il laojiao è una sanzione speciale finalizzata a sottoporre a un periodo di rieducazione supplementare quei criminali che necessitano di ulteriore disciplina per aver opposto resistenza alla riforma oppure coloro che si sono resi responsabili di reati minori. Si tratta in sostanza di “elementi antisocialisti”, “blandi controrivoluzionari”, ma anche di chi sia stato fermato per vagabondaggio, furto, ostacolo alla produzione e altri reati di simile gravità. Una disposizione interna dell’ufficio di Pubblica Sicurezza, resa esecutiva nel 1982 – in un periodo in cui il governo cercava di tenere sotto controllo le migrazioni interne innescate dal programma di modernizzazione – prescriveva: “chi proviene dalla campagne, qualora si macchi di un crimine in città, lungo linee ferroviarie, grandi
fabbriche o miniere, e dopo gli accertamenti soddisfi le specifiche per l’applicazione del laojiao, può essere soggetto alla rieducazione”. In effetti con l’ascesa di Deng Xiaoping il laojiao, considerato uno strumento assai utile per garantire la pubblica sicurezza, conobbe una fase di grande rafforzamento: la tipologia di criminali soggetti alla rieducazione fu estesa fino a comprendere teppisti e contrabbandieri, “disturbatori dell’ordine” e colpevoli di reati d’opinione, ma anche chi era privo di mezzi di sussistenza o non obbediva agli ordini di trasferimento. Uno strumento agile, che evitava lungaggini burocratiche, dal momento che l’applicazione della rieducazione attraverso il lavoro non contempla l’arresto, non richiede alcuna procedura legale o giudiziaria (come in parte avviene per i condannati al laogai) ed è stabilita in via amministrativa, al pari della sua durata. Anche il jiuye mira in sostanza a prolungare in maniera indefinita la permanenza dei condannati all’interno del sistema di lavoro correzionale. L’espressione “personale di destinazione professionale” (就业人员 jiuye renyuan) fa riferimento a detenuti che, una volta scontata la pena nel laogai o nel laojiao, vengono trattenuti in apposite imprese statali al fine di “implementare al massimo le politiche di riforma attraverso il lavoro e garantire la pubblica sicurezza”. La definizione fa comprendere senza alcuna ambiguità cosa intenda Harry Wu quando parla del jiuye come estensione del sistema di lavoro correzionale, ma i dati forniscono un’immagine ancora più precisa della realtà: l’autore stima che durante gli anni Cinquanta e Sessanta quasi il 95 % delle vittime del laogai o del laojiao allo scadere della condanna fosse sottoposto alla destinazione professionale obbligatoria; ancora sul finire degli anni Ottanta per circa il 50 % dei reduci dai campi di riforma e il 30 % di quelli già sottoposti a rieducazione scattava il provvedimento di destinazione coatta, che veniva così giustificata in un documento dell’ottavo Congresso nazionale sulla riforma attraverso il lavoro (1981): “la destinazione professionale è un tipo di misura amministrativa obbligatoria pensata per fornire assistenza nella ricerca di un impiego, assolvendo al contempo la funzione di continuare il processo di riforma. Il suo scopo è prevenire la reiterazione del reato da parte di coloro che hanno scontato la pena, nell’interesse del bene pubblico”. L’incostanza del sistema concentrazionario deriva soprattutto dal tardo sviluppo di un sistema penale definitivo della Repubblica Popolare Cinese [中华人民共和国 Zhonghua Renmin Gongheguo]. Il primo codice di legge penale non fu approvato e promulgato prima del 1979 – tre decenni dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Prima del 1979, giudici e procuratori dovevano attenersi ad abbozzi di legge e ‘decisioni’ non del tutto legali ratificate dal Congresso Nazionale del Popolo, dal Consiglio di Stato, o da altri organi governativi. Il 29 dicembre del 1994, la legge di reclusione della Repubblica Popolare Cinese [中华人民共和国监狱法 Zhonghua renmin gongheguo jianyu fa] ha collocato formalmente tutti i vari tipi di istituzioni carcerarie come i laogai sotto il generale termine di “sistema detentivo” [监狱制度 jianyu zhidu]. Il termine “campo di concentramento” non è legalmente usato nelle pubblicazioni della Repubblica Popolare Cinese in riferimento ai campi concentrazionari del regime, che sono invece tipicamente definiti “brigata di trasformazione attraverso il lavoro” [劳改队 laogai dui] o “infrastrutture per la rieducazione attraverso il lavoro” [劳教所 laojiao suo]. Nè queste pubblicazioni fanno alcun riferimento ai campi come “campi di rieducazione attraverso il lavoro” [劳改营 laogai yin], un termine che è stato invece riservato a partire dal 1990 ai gulag dell’Unione Sovietica. Questi documenti fanno invece regolarmente riferimento ai campi di prigionia del Guomindang di Chiang Kai-shek, fondati nel 1941 a Shangrao nella provincia di Jiangxi come dei “campi di concentramento” [集中营 jizhongying] contenenti un gran numero di prigionieri politici destinati dal regime ai lavori forzati. I campi di prigionia laogai e laojiao, si sono formati sia attraverso le esperienze concentrazionarie occidentali, sia da una speciale impronta della cultura cinese. Il sistema della corvè obbligatoria, del lavoro non remunerativo al servizio dello stato è infatti profondamente radicato nella civiltà cinese, basti pensare a tutti gli schiavi utilizzati per la costruzione di imponenti opere pubbliche. Inoltre, la legge penale cinese è stata tradizionalmente concettualizzata più come uno strumento dello stato che come mezzo per la protezione dei diritti e delle prerogative individuali.